domenica 28 ottobre 2007

CAMBIARE PARADIGMA 4

IL PENSIERO DEL BIOCHIMICO RUPERT SHELDRAKE SULL’EVOLUZIONE
di E. Cogliani
Liberamente tratto dal sito:
http://www.celestiniancenter.com/SHELDRAKE.html
Consultate direttamente la home page di R. Shaldrake:
http://www.sheldrake.org/
mailto:pam@telepet.demon.co.uk
Sheldrake ha proposto e sviluppato la sua idea di campo morfogenetico nei suoi libri L’ipotesi della causalità formativa e In The Presence of the Past .
La sua teoria si focalizza su tre punti chiave che costituiscono i Principi base della causalità formativa:
1. I campi morfogenetici sono un nuovo tipo di campo che fin qui non è stato riconosciuto dalla fisica.
2.Così come gli organismi alla cui formazione presiedono, essi stessi si evolvono. Hanno una storia e, grazie a un processo – la risonanza morfica – contengono in sé una memoria.
3. Fanno parte di una famiglia più vasta di campi, detti campi morfici.
Sheldrake suppone che gli organismi autoadattanti, a tuti i livelli di complessità, sono un tutto dipendente da uno specifico campo organizzatore di quel sistema, che è il suo campo morfico. Questo tutto è composto di parti, le quali sono a loro volta un tutto a livello più basso (causalità verso il basso). A ciascun livello, il campo morfico dà a ciascun tutto le proprie caratteristiche e fa sì che esso ammonti a più della somma delle proprie parti.
Connessioni con la fisica quantistica
Sheldrake formula l’ipotesi che la non localizzazione – uno dei principi fondamentali della fisica quantistica – sia essenziale ai campi morfici, in quanto come le parti di un sistema quantico mantengono la loro connessione se sono stati collegati in passato e rimangono sempre unite - con una connessione immediata -da un campo quantico; analogamente avviene per un campo morfico.
L’autore ritiene che quando le parti di un sistema sociale vengono separate queste mantengono un collegamento analogo alla non localizzazione riscontrata nella fisica quantistica.
Sheldrake ritiene possibile una reinterpretazione dei campi morfici alla luce della fisica quantistica, la cui applicazione si estenderebbe fino a coprire l’organizzazione biologica e sociale.
Come sostiene lo stesso Sheldrake, riferendo di una discussione con David Bohm, egli ritiene che la sua teoria è molto simile a quella di Bohm. "C’è una grande similitudine tra l’idea di campo morfico e la teoria dell’‘ordine implicato’ di Bohm, l’ordine ‘avviluppato’ dentro quello ‘esplicato’ cioè svelato, di cui facciamo esperienza. La teoria di Bohm che si fonda sulla non separabilità dei sistemi quantistici, si rivelò straordinariamente affine alle mie proposte".
I Campi Morfici
I campi morfici sono regioni d’influenza all’interno dello spazio-tempo, localizzati dentro e intorno ai sistemi che organizzano. Essi limitano ovvero impongono un ordine all’indeterminismo intrinseco dei sistemi che presiedono.
I campi che presiedono allo sviluppo e al mantenimento della forma corporea si chiamano morfogenetici.
Quelli che si occupano della percezione, del comportamento e dell’attività mentale si chiamano campi percettivi, comportamentali e mentali.
In mineralogia sono definiti cristallini e molecolari.
In sociologia sono detti sociali e culturali. Comprendono in sé, e connettono, le varie parti del sistema che sono preposti ad organizzare.
Così un campo cristallino organizza i modi secondo cui le molecole e atomi si ordinano all’interno di un cristallo.
Il campo di un animale plasma le cellule e i tessuti all’interno di un embrione, ne guida lo sviluppo fino a che esso assuma la caratteristica forma della sua specie.
Un campo sociale organizza e coordina il comportamento degli individui che lo compongono, per esempio il modo in cui ciascun uccello vola all’interno del suo stormo.
Il campo morfico conduce i sistemi a esso sottoposti verso mete o obiettivi specifici (Attrattori).
Per Sheldrake il campo stesso si evolve.
Esso non è fissato una volta per tutte.
La sua struttura dipende da ciò che è accaduto in precedenza. Contiene una sorta di memoria.

Attraverso la ripetizione, i modelli che organizza divengono sempre più probabili, sempre più abituali.
Secondo Sheldrake, il primo campo di un dato tipo, per esempio il campo del primo cristallo d’insulina, o quello di una nuova idea, diciamo la teoria di Darwin sull’evoluzione, comincia a esistere grazie a un salto creativo la cui fonte evolutiva ci è sconosciuta.
Forse si tratta del caso.
Forse si tratta dell’espressione di una creatività intrinseca alla mente e alla natura.
Una volta che questo nuovo campo, questo nuovo modello di organizzazione, ha cominciato a esistere, esso si rafforza attraverso la ripetizione.
E’ sempre più probabile che il modello si riproponga.
I campi divengono una sorta di memoria cumulativa, evolvendosi nel tempo, e sono alla base della formazione delle abitudini.
Il veicolo attraverso il quale le informazioni vengono trasmesse da un sistema ad un altro viene definito risonanza morfica.
Essa contiene in sé la possibilità che un’entità influisca su di un’altra simile, che modelli di attività influiscano su altri modelli di attività successivi e analoghi.
Questi influssi passano attraverso, e dentro, lo spazio tempo. Quanto maggiore è la somiglianza tanto più potente è la risonanza morfica.
La risonanza morfica è il fondamento di tutta la memoria intrinseca ai campi, a tutti i livelli di complessità.
Qualsiasi sistema morfico, poniamo l’embrione della giraffa, si sintonizza sui sistemi precedenti e simili, in questo caso le giraffe precedentemente sviluppate.
Parlando dell’uomo, questo tipo di memoria collettiva è strettamente affine a quello che lo psicologo C.G. Jung chiamava ‘l’inconscio collettivo’.
La teoria di Sheldrake sostiene che la risonanza morfica si manifesta nella fisica, nella chimica, nella biologia, nella psicologia, e nelle scienze sociali.
Sistemi di antica formazione come gli atomi di idrogeno, i cristalli salini e le molecole di emoglobina sono governati da campi morfici talmente potenti, da abitudini talmente radicate, che è difficile osservarvi il più piccolo cambiamento.
Le ipotesi sui campi morfici formulate da Sheldrake:
1.
Sono un tutt’uno autoadattante.
2.Hanno una posizione sia spaziale che temporale e organizzano la trama spazio-temporale dell’attività ritmica o vibratoria.
3.Hanno il potere di attirare i sistemi ai quali presiedono verso forme e attività determinate, alla cui nascita soprintendono e di cui custodiscono l’integrità. Gli obiettivi verso i quali i campi morfici attirano i sistemi ad essi sottoposti sono chiamati attrattori.
4.Mettono in relazione e coordinano le unità morfiche (oloni) al loro interno, le quali a loro volta sono organizzate dai campi morfici. I campi morfici a loro volta contengono in sé altri campi morfici secondo una gerarchia di insiemi a catena, detta olarchia.
5.Sono strutture probabilistiche e la loro attività di organizzazione è probabilistica.
6. Contengono una memoria intrinseca fornita dall’autorisonanza con il passato dell’unità morfica medesima e dalla risonanza morfica con tutti i sistemi precedenti e analoghi. Questa memoria è cumulativa.

Quanto più frequentemente un determinato modello di attività viene ripetuto tanto più abituale diviene.
I Campi Morfogenetici
Sono i campi morfici che presiedono allo sviluppo e al mantenimento della forma corporea. Essi sono quindi un particolare tipo di campi morfici.
L’idea di campo morfogenetico è emersa soprattutto in biologia.
Fin dagli anni ’20 del secolo scorso diversi biologi hanno ipotizzato che un organismo in via di sviluppo venga modellato da un campo, detto appunto morfogenetico (perché genera la forma).
L’idea di campo è quella di una regione di influenza autoadattante, analoga ai campi magnetici e ad altri campi esistenti in natura.

sabato 27 ottobre 2007

Tecniche per la Salute fisica e mentale

ZHINENG QI GONG:Metodo per raffinare le capacità mentali e cognitive
ritrovando la strada verso LA GUARIGIONE

L'esercizio del I° LIVELLO eseguito dallo stesso ideatore DOTT. PANG MING

INSEGNAMENTO E PRATICA COME PROCESSO DI GUARIGIONE

TESTIMONIANZE E RISULTATI

TUTTO E' ENERGIA

In Italia: informazioni, esperienze e risultati terapeutici reperibili presso il Gruppo di Studio Educare alla Salute
www.medicinaintegrale.it

mercoledì 17 ottobre 2007

Troppa musica con gli mp3 mette a rischio l'udito

Fonte:Medicina generale
La newsletter per i medici di medicina generale
Medicina generale e' una produzione Buongiorno Vitaminic SpA ©

I lettori mp3 hanno rivoluzionato il modo di ascoltare la musica. Ma rischiano di provocare seri problemi a chi li usa, specie se si esagera e se ne sottovalutano i pericoli. È la conclusione di una ricerca condotta da scienziati australiani, secondo cui vi sarebbero tre fattori che rendono pericoloso l'uso degli mp3: ascoltare la musica a volume molto alto, ascoltare per piu di due ore al giorno, e per più di cinque giorni la settimana.
Un sondaggio a corredo dell'indagine rivela che circa un terzo degli utenti rientra in almeno una delle tre categorie. "Una delle principali ragioni", ha spiegato il professor Bob Cowan, che ha guidato la ricerca, "è che i giovani ascoltano la musica nei mezzi pubblici e vogliono coprire il rumore di fondo".
È emerso inoltre che il 93% del campio ne esaminato riconosce che gli mp3 ad alto volume possono danneggiare l'udito, ma in generale non se ne preoccupa, o comunque non è disposto a cambiare le proprie abitudini. "Il volume alto può danneggiare l'udito temporaneamente", ha detto ancora Cowan, "ma il danno si ripara se vi è un adeguato riposo dal rumore".
Il problema è che le persone vogliono ascoltare la loro musica tutti i giorni, e quindi aumentano il rischio di danni permanenti. Si finisce per subire un deficit sensoriale. Vengono distrutte le cellule che individuano certe frequenze, quindi si comincia ad avere perdita di udito in particolari frequenze, specie quelle alte, che sono importanti per distinguere una parola dall'altra. Vi è' anche il rischio di soffrire di ronzio nell'orecchio.

domenica 14 ottobre 2007

CAMBIARE PARADIGMA 3

COME NASCE E SI PERPETUA UN PARADIGMA:
CREDENZE, CULTURA,CONFORMISMO SOCIALE=
INTERPRETAZIONE DELLA REALTA'


COME IL CERVELLO COSTRUISCE E INTERPRETA LA REALTA'SECONDO IL PARADIGMA DI RIFERIMENTO

ROMPIAMO UN PARADIGMA DI RIFERIMENTO CHE CI HA PORTATO TRISTEZZA,SOPRAFFAZIONE,GUERRA,ESTINZIONE DELLE SPECI VIVENTI INCLUSO LA NOSTRA
OGNUNO DI NOI FA LA DIFFERENZA
INSIEME SI PUO'

POTENZIALITA' DA EDUCARE

Pechino-Un Gran Maestro di Qi Gong di viene filmato mentre impartisce una lezione sulle potenzialità della pratica del qi gong

sabato 13 ottobre 2007

NETWORKING MIND

IL NOSTRO CERVELLO

martedì 9 ottobre 2007

PSICOCIBERNETICA

CERVELLO-MENTE-COSCIENZA

domenica 7 ottobre 2007

LA DITTATURA DELLO STATUS QUO

CAMBIARE PARADIGMA:Dalla teoria alla pratica 2

IL POTERE DELL'INTENZIONE: IL FUTURO INIZIA DA ADESSO!

Nel centro della galassia il precursore della vita

Antigelo nello spazio
di: Enrico Loi
Il più diffuso antigelo usato dalle automobili di tutto il mondo (ma anche un importante precursore della vita) l'etile glicolico, è stato scoperto in grandi quantità nei pressi del centro della nostra galassia, in una nube interstellare di polveri e gas.
Lo hanno osservato astronomi del Goddard Space Flight Center, una struttura di ricerca della NASA a Greenbelt, nel Maryland, utilizzando il radiotelescopio della National Science Foundation (NSF).
"È vero che l'etilene è un antigelo, ma in realtà nello spazio è associato alla formazione di molecole di zuccheri necessari per la vita. In particolare, di quelli che formano le strutture dell'RNA", ha commentato Jan M. Hollis, del Goddard. "Siamo convinti - ha aggiunto - che queste molecole possono rafforzare la tesi che la chimica prebiotica, cioè i precursori della vita, può essere nata negli spazi interstellari".
La ricerca verrà pubblicata sull' Astrophysical Journal Letters. Gli astronomi hanno scoperto l'etile glicoico in una nube interstellare chiamata Sagittario, a 26.000 anni luce dalla Terra, nei pressi del centro della nostra galassia.
La molecola dell'etile glicoico è composta da dieci atomi ci carbonio, idrogeno e ossigeno ed è una delle più grandi molecole scoperte nello spazio.

sabato 6 ottobre 2007

OGM:Geni umani nel riso

Pubblicato su:http://www.ecplanet.ch/
R.S. a cura di Anna Ermanni
L'industria OGM è capace di tutto. Infatti hanno inserito geni umani nelle piante per quasi dieci anni.

Un sistema 2-5A funziona come un pathway antivirale nelle piante transgeniche.(Mitra A,.et al., 1966 Proc. Nat, Acad.Sci.USA 93:6780-6785.

Gli scienziati hanno iniziato ad inserire geni dagli esseri umani nelle coltivazioni alimentari estendendo massivamente le modificazioni genetiche.

L'iniziativa, che sta causando disgusto e repulsione fra i critici,rafforza le accuse che la tecnologia GM sta creando “cibi di Frankestein”.

Anche prima di questo sviluppo molti, incluso il principe Charles, si sono opposti alla tecnologia che ha assunto il ruolo di Dio, creando combinazioni innaturali di esseri viventi. Gli ambientalisti dicono che nessuno vuole mangiare cibi anche parzialmente di derivazione umana poiché ciò odora di cannibalismo.

Ma i sostenitori affermano che la controversia non presenta problemi etici e potrebbe portare benefici all'ambiente. Nella prima modificazione genetica di questo genere, i ricercatori giapponesi hanno inserito un gene umano nel riso,capace di digerire i pesticidi e i prodotti chimici.

Il gene produce un enzima, in codice CPY2B6, che è particolarmente adatto a degradare prodotti dannosi nell'organismo.

Le attuali colture GM vengono modificate con geni prelevati da batteri per renderli tolleranti agli erbicidi usati nelle colture. Tuttavia la gran parte di essi sono in grado di agire verso un solo erbicida, questo significa che l'uso ripetuto di questo diserbante consente alle infestanti di acquisire una resistenza verso di esso.

Ma i ricercatori dell' Istituto Nazionale di Scienze Agrobiologiche a Tsuhuba, a Nord di Tokyo, hanno trovato che aggiungendo “un tocco umano” il riso acquisisce immunità verso 13 diserbanti.

Questo potrebbe significare che le infestanti potrebbero essere tenute a freno con una costante alternanza di erbicidi.

Gli scienziati favorevoli affermano che il gene potrebbe anche aiutare a combattere l'inquinamento ambientale. Il professor Richard Meilan della Purdue University nell'Indiana, che ha lavorato con un gene similare dei conigli, afferma che le piante modificate con esso pulirebbero dalle tossine i campi inquinati. Essi potrebbero anche distruggerle radicalmente tanto che le colture cresciute su suoli contaminati potrebbero essere commestibili.

Ma altri scienziati avvertono che se il gene sfuggisse sulle erbe infestanti potrebbero crearsi delle supererbe che sarebbero resistenti ad una vasta gamma di erbicidi.

Il professor Meilan aggiunge: “non nutro alcun motivo etico contro l'uso di geni umani nelle piante GM” - egli considera come spazzatura i “frankestein foods” -. Egli ritiene che l'opposizione degli europei verso gli OGM non sia altro che protezionismo.

Ma Sue Mayer, direttore di Gene Watch UK, ha dichiarato recentemente: “Non penso che qualcuno voglia comprare questo riso.
L'opinione pubblica ha espresso disgusto sull'uso dei geni umani e si è resa conto che le loro preoccupazioni non vengono tenute in alcun conto dall'industria biotech. Questo sminuirà ancor di più la loro fiducia”.

Comunicazione quantistica

Fonti: ScienceDaily, SpaceDaily
di: Alessio Mannucci
La Università di Yale (USA) e il National Institute of Standards and Technology (NIST) hanno pubblicato su Nature del 27 settembre scorso i rispettivi studi, complementari, sulla possibilità di scambi di informazione tra atomi “entangled”, non vicini tra loro.

Il team di ricercatori di Yale, guidato dal professore fisica applicata Robert Schoelkopf e dal professore di fisica Steven Girvin, che da tempo lavora alla creazione di microchip quantistici, per la prima volta è riuscito a inviare un segnale su richiesta da un qubit - o quantum bit, cioè una particella atomica - ad un singolo fotone - cioè una particella di luce - attraverso un cavo, e trasmetterlo a un secondo qubit, distante dal primo, non in comunicazione diretta all’interno del chip.
In precedenza, l'informazione era stata trasmessa direttamente solo da qubit a qubit.

Non basta trasferire l'informazione da un qubit stazionario a un fotone, “per realizzare la comunicazione quantistica era necessario riuscire a trasferire di nuovo l’informazione dal fotone ad un qubit”, ha spiegato Schoelkopf.
Il gruppo è riuscito a produrre singoli fotoni usando microonde, come quelle che usano i cellulari (che emettono in media miliardi di miliardi di fotoni al secondo), e a pilotarli, utilizzando dei cavi, verso un qubit bersaglio (un po' come avviene per la luce visibile quando attraversa le fibre ottiche).
I ricercatori del NIST, invece, sono riusciti a trasferire l'informazione tra due qubits, o “atomi artificiali”, sfruttando le vibrazioni elettroniche di un cavo di alluminio microscopico.
Anche in questo caso, l'informazione è stata trasferita sotto forma di radiazioni nel range delle microonde da un atomo a una sezione risonante del cavo, e da lì trasportata su un secondo atomo.
I gruppi di ricerca hanno quindi realizzato, indipendentemente l'uno dall'altro, un canale quantistico che permette a due atomi di “dialogare” fra loro. Il risultato è importante perché, in prospettiva, apre la possibilità concreta di far comunicare i molti elementi di un ipotetico computer quantistico. I qubits differiscono dai bit tradizionali perché, teoricamente, in grado di sfruttare lo stato di entanglement, o superposizione, essere cioè simultaneamente uno e zero. Grazie a questo straordinario effetto quantistico l'informazione quantistica offre, in teoria, il vantaggio di una maggiore velocità e potenza di calcolo, e di una precisione infinita durante il calcolo (un algoritmo quantistico è sempre stabile, tranne che per l'input e l'output).

I vantaggi offerti dalle tecniche di computazione basate sugli stati “entangled” sono stati svelati da Peter Shor nel suo celeberrimo algoritmo di fattorizzazione in numeri primi. Ma per quanto gli esordi siano stati promettenti, ci si è tuttavia presto scontrati con la difficoltà pratica di implementazione di sistemi basati sull'estrazione di informazione dal mondo delle particelle elementari.
Nei computer quantistici potrebbero essere utilizzati nanotubi al carbonio (utilizzabili come memorie o come elaboratori d'informazione), atomi artificiali, fotoni, materiali superconduttori e autoassemblanti.
In fondo, fa notare Schoelkopf, anche nella (prei)storia dei computer convenzionali c'è stato un momento, negli anni Cinquanta, in cui per la prima volta sono stati costruiti transistor individuali, e sono passati decenni prima che fisici e ingegneri sviluppassero circuiti integrati con miliardi di transistor (come quelli attuali).
Data articolo: ottobre 2007
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:

giovedì 4 ottobre 2007

Enigmi scientifici:noi non dovremmo esistere, ma ci siamo!

La nuova scienza metafisica quantistica

Il Creatore dell'Universo

Fonte:
Owen Waters, autore de “The Shift: The Revolution in Human Consciousness”. http://www.infinitebeing.com/0404/scienceproves.htm
Traduzione: Daniela Brassi

La Scienza dimostra l'esistenza del Creatore dell'Universo
La scienza si trova in generale accordo sull'esistenza di un Big Bang, da cui si dice che l'universo sia letteralmente esploso fuori per trasformarsi in vita.
Il problema davanti a cui la scienza si ritrova, con tale teoria, è la difficoltà che un simile Big Bang dovrebbe affrontare per creare la vita.
Nel suo libro The Life of the Cosmos [La vita nel cosmo], il fisico Lee Smolin elenca le molte variabili che dovevano trovarsi perfettamente in equilibrio, affinché l'universo si dispiegasse in un ordine vivente, invece che in un caos casuale. La massa del protone, la forza di gravità, l'estensione della forza nucleare debole, e dozzine di altre variabili, determinano il modo in cui l'universo si svilupperà a seguito di un Big Bang. Se uno qualsiasi di questi valori fosse stato anche solo leggermente diverso, l'universo sarebbe divenuto una disorganizzata piscina di plasma bollente in cui le galassie e i sistemi solari non sarebbero stati in grado di formarsi.

Perché si crei un universo che sostenga la vita, i numeri devono essere esattamente quelli giusti. Quali sono le probabilità matematiche di un Big Bang che avvenga casualmente e produca un universo, che a sua volta produca la vita per come la conosciamo ?

La vita, come noi la conosciamo.

Una probabilità su 10229.

Cioè una possibilità su 10 alla potenza 229.

Mettendolo per esteso, è esattamente 1 probabilità su

10,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,
000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,
000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,
000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,
000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,
000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000,000


Fondamentalmente, quasi nessuna !!!

Quante sono le probabilità per un Creatore intelligente di ottenere proprio la giusta miscela perché l'universo possa sostenere la vita ?
Beh, siamo qui, no…?

mercoledì 3 ottobre 2007

Dall'Homo Sapiens all'Uomo Quantico Spirituale

Eni - 30PERCENTO - I 24 consigli VERSIONE SOLO TESTO

Eni - 30PERCENTO - I 24 consigli VERSIONE SOLO TESTO

Il cervello del medico è impostato sulla flemma

Fonte: Medicina Generale
Non dipende dal cinismo l'atteggiamento flemmatico e distaccato che i medici mantengono di fronte al dolore dei pazienti.
La causa andrebbe ricercata piuttosto in una serie di meccanismi innescati automaticamente nel cervello di chi cura e che si imparano ad acquisire fin dall'università.
È la scoperta di alcuni ricercatori delle università di Chicago e Taipei, secondo i quali la risposta messa in atto dal cervello quando si osserva qualcuno che soffre si può imparare a controllare.
Per dimostrarlo sono stati arruolati due gruppi di volontari: uno composto da 14 fra donne e uomini in media di 35 anni d'età, un altro da 14 medici, sottoposti a risonanza magnetica durante l'esperimento. In tutti i componenti del primo campione, quando qualcuno veniva punto con un ago dai ricercatori, la risonanza mostrava l'attivazione del circuito del dolore nel cervello.
Questo non avveniva quando le persone venivano solamente toccate con un cotton-fioc.
Fra i medici arruolati per l'esperimento, invece, non è stato possibile registrare alcuna variazione dell'attività cerebrale né quando assistevano a punture vere e proprie, né quando gli ipotetici pazienti venivano solamente sfiorati da un bastoncino di cotone. Al contrario, nei camici bianchi si è potuta osservare una più massiccia attività nella zona del cervello dove vengono regolate e controllate le emozioni.