Coltivazioni intensive di Soya in Amazzonia
R.S. a cura della redazione ECplanet
L'ultima minaccia per la foresta amazzonica si chiama soia.
Il boom dell'agricoltura intensiva ricorda i tempi dell'El Dorado.
E prospetta scenari inquietanti sull'ambiente.
Ma anche sulla società carioca
“Fuori gli stranieri ! L'Amazzonia è dei brasiliani !”.
Letizia grida la sua rabbia nelle strade di Santarem, la seconda città dello Stato brasiliano del Parà, alla confluenza del Rio Tapajós con il Rio delle Amazzoni.
“Gli ambientalisti sono al servizio degli americani”.
È questo il tenore degli slogan alla marcia di “Fuori Greenpeace”, movimento popolare nato per protestare contro le azioni della celebre organizzazione ambientalista.
Le forze dell'ordine, in assetto anti-sommossa, faticano a contenere l'impeto dei manifestanti.
Quasi tutti sono immigrati dal sud del Brasile, come Letizia.
Si riconoscono facilmente, così diversi dagli abitanti dell'Amazzonia: hanno carnagione e capelli chiari, indossano grandi cappelli da cowboy e guidano invadenti pick-up.
Qui li chiamano sojeiros; sono, infatti, coltivatori di soia.
Negli ultimi quattro anni sono arrivati a migliaia, attratti da un nuovo sogno di ricchezza e disposti a tutto per realizzarlo. Anche a minacciare di morte e ad aggredire chi si oppone al nuovo stato delle cose, in quest'angolo d'Amazzonia.
I tumulti spontanei segnano da tempo la vita dei 300 mila abitanti di Santarem, che vive un conflitto senza precedenti sui cui sviluppi nessuno si azzarda a scommettere.
Da un lato ci sono i sojeiros e le tecniche di agricoltura intensiva che utilizzano; dall'altro gli ambientalisti, la chiesa e gli abitanti della regione.
Oggetto del contendere: la grande foresta, ferita e rasa al suolo per far posto a nuove piantagioni. Negli ultimi anni, sono stati più di un milione gli ettari sacrificati all'agricoltura. La massiccia produzione di soia ha fatto guadagnare al Brasile la seconda posizione tra i produttori mondiali. La sfida per il primato è con gli Stati Uniti, e, secondo gli esperti, il gigante sudamericano ha tutte le carte per sorpassarli entro quattro anni.
Ma a chi servono milioni di tonnellate di soia ?
Secondo uno studio pubblicato recentemente da Greenpeace, il 53 per cento della pianta che parte da Santarem approda nel porto di Amsterdam, e da qui raggiunge la Germania e la Svizzera; il 31 per cento arriva invece a Liverpool, il resto è per Spagna e Francia. Grazie al suo alto contenuto proteico, la soia è usata per alimentare i capi degli allevamenti industriali d'Europa. La domanda, soprattutto dopo la vicenda mucca pazza, cresce incessantemente.
Data articolo: settembre 2007
Autori: Emanuela Evangelista e Loris Capogrossi
Fonte: la Repubblica delle Donne
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