domenica 18 novembre 2007

Neuroteologia

di: Alessio Mannucci

Gli stati di coscienza mistici possono essere visualizzati ?
Secondo la “neuro-teologia”, a produrre tali stati sarebbero niente altro che determinate configurazioni bio-chimiche neuro-sinaptiche.
Il primo ad esplorare le basi neurologiche dell'esperienza mistica è stato il neurologo James Austin con il libro “Lo Zen e il Cervello”, pubblicato dalla Mit Press nel 1998.

La teoria basilare di Austin è che quegli occasionali momenti di chiarezza intuitiva che sono detti nello Zen “kensho” o “satori” corrispondano a una sorta di ‘riavvio’ (re-boot) del cervello che dissolve strutture mentali abituali (centrate sul senso dell'io e del mio) e ne ricostruisce altre più elastiche, più ricettive, inter-individuali, fino a raggiungere quello stato (“samadhi”) di perfetta trascendenza estatica, non duale, che permette di fare l'esperienza del Brahman.
Quando tiene conferenze sulle tematiche di Zen e cervello, Austin a volte proietta delle diapositive di antiche statue di Buddha. Molte di queste statue hanno sulla testa una strana protuberanza, che solitamente è vista come uno “chignon”, ma che per Austin rappresenta un simbolo di accresciuti poteri cerebrali. “Io la leggo come metafora di un'espansione delle facoltà mentali”, dice. “Il cervello dell'Homo sapiens è più grande, più convoluto e più efficiente di quello dell'uomo di Neanderthal. L'evoluzione biologica del cervello è un fatto, spero che fra altri 200.000 anni avremo un Homo sapiens sapiens”.

In seguito, Andrew Newberg, dell'Università della Pennsylvania, ha condotto alcuni esperimenti in tal senso su un monaco tibetano. Durante le sedute di meditazione del monaco, gli ha iniettato nel sangue una particolare sostanza e con l'ausilio di una macchina chiamata Spect, che consente di visualizzare immagini del cervello, ha provato a ridurre la “neuro-mistica”, quel senso di tutt'uno con l'universo o con Dio a seconda dei punti di vista, ad una serie di dati sul monitor. Che indicherebbero come la regione dell'encefalo posteriore, durante questi stati di super-coscienza, rimanga vittima di un black out. Privata degli input sensori, questa “zona di orientamento” smette di svolgere il compito di marcare il confine tra l'io e il mondo: “Il cervello non ha scelta”, spiega Newberg. “Percepisce l'io come infinito, un tutt'uno con il creato.
È una sensazione del tutto reale”.
I primi a studiare l'esperienza “neuro-religiosa” avevano scoperto un collegamento con l'epilessia del lobo temporale (una abnorme di attività elettrica). Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo “neuro-teologia”, pubblicando un libro (“Dio nel Cervello”, D'Aquili, Eugene - Newberg, Andrew - Rause, Vince, Mondadori, Collana: Uomini e religioni, 2002) in cui conclude che le esperienze spirituali sono l'inevitabile conseguenza di una certa configurazione cerebrale. “Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa”.

Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello cerebrale. Nelle immagini cerebrali registrate dalla Spect, riferite a suore francescane in preghiera, Newberg ha notato un rallentamento dell'attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. “L'assorbimento dell'io all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio”, scrivono Newberg e d'Aquili in “Perché Dio non se ne andrà”, “scaturisce invece da eventi neurologici”.
Attenzione a non cadere nel facile riduzionismo, tentazione a cui gli scienziati indulgono troppo spesso. Non è che si possa considerare il cervello come organo a sè, al suo funzionamento contribuisce tutto il corpo con tutti i suoi apparati sensoriali, partecipano l'esperienza, la memoria, il pensiero, l'emotività, l'unicità di ogni essere umano. Ogni cervello è unico, ricordiamocelo.

Ciò che di notevole si può ricavare dall'indagine neuro-teologica, è la nostra predisposizione, come specie, alla religiosità e al sentire mistico. La neuroteologia spiega ad es. come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Dalle nenie liturgiche, capaci di infondere un senso di quiete estatico, alle vorticose danze Sufi, capaci di indurre stati di trance, si può intervenire con le più diverse ritualità in modo da facilitare il sopraggiungere di questi stati mistici. Anche le immagini simboliche religiose, come una croce o una torah rivestita d'argento, hanno lo stesso scopo: attivare la modalità “neuro-teologica”.

Lo studioso di religioni Mircea Eliade, che ha studiato a fondo lo sciamanesimo, le chiamava “tecniche arcaiche dell'estasi”. Questi rituali riescono a mettere in moto i meccanismi cerebrali neuro-teologici focalizzando l'attenzione sulla mente, arrestando il flusso di coscienza ordinario, intervenendo sulla zona deputata all'orientamento che stabilisce i confini dell'io, della coscienza individuale. Per dirla alla Nietzsche, sono dei mezzi per passare dalla “modalità apollinea” a quella “dionisiaca”. “Finché il nostro cervello avrà questa struttura”, dice Newberg, “Dio non andrà via”.
L'esperto di bioetica nonché vice-presidente della Pontificia Accademia per la vita, monsignor Elio Sgreccia, da parte sua non nega il possibile legame fra religione e neurologia: “Non contrasta con la fede affermare che in una parte del cervello c'è traccia dei momenti di preghiera. Il che però non significa che è il cervello a creare la fede”.

“Non tutti coloro che meditano provano esperienze religiose forti”, dice Robert K.C. Forman, studioso di religione dell'Hunter College di New York, “pensiamo che alcuni individui possano essere predisposti geneticamente o caratterialmente ad avere esperienze mistiche”. Le persone più aperte a queste esperienze tendono anche ad essere aperte a nuove esperienze di natura più generale. Sono di solito creative e innovative, con molti interessi e una certa tolleranza per l'ambiguità. Sono inclini alla fantasia, il chè suggerisce una particolare capacità di sospendere il processo di discernimento che permette di distinguere tra fatti reali e immaginari. Chi invece tende più alla razionalità, avrà più difficoltà a fare questo tipo di esperienze.

I TRANSUMANI

Una ricercatrice del SETI riesce a decodificare un messaggio proveniente da Alpha Centauri. Sono le istruzioni per costruire un manufatto alieno che spalanca le porte della supermente quadrimensionale, una sorta di pisco-astronave per navigare nell'inconscio collettivo dell'universo, l'accesso ad una nuova dimensione che prelude ad un nuovo stadio dell'evoluzione umana.

(Robert Sawyer, "Factoring Humanity", 1998)

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