di: Paolo Cortesi/Nexusitalia
Una umanità mutante non è fatta di persone con la pelle verde o dalle orecchie a tromba. Non è questa la mutazione più profonda, anche se sarebbe la più vistosa.
Una umanità mutante non è fatta di persone con la pelle verde o dalle orecchie a tromba. Non è questa la mutazione più profonda, anche se sarebbe la più vistosa.
L'autentica mutazione, quella terribile e senza ritorno, quella che muta letteralmente, cambia e stravolge l'essenza dell'uomo agisce nel suo pensiero di sé e della realtà, nella sua percezione del proprio esistere nel mondo e con i simili, nella sua mappa ideale che guida le sue azioni e le sue speranze, nella sua facoltà di pensare l'umanità nel tempo: in una parola, la vera mutazione è una mutazione della cultura umana. E non parlo della cultura di un dato paese in un dato periodo; ma della radice universale della cultura, archetipi della mente umana che disegnano il reale, il senso profondo e originario del sentirsi essere pensante. Questo patrimonio plurimillenario sta cedendo alla furia devastante della sospensione di pensiero che non è più una occasionale tragedia nel percorso spirituale dell'umanità, ma una condizione sistematicamente elaborata e proposta (fra poco, forse, imposta) dai gruppi di potere economico-politico. Il piano (consapevole o no) delle oligarchie capitalistiche è tutto sommato semplice nella sua evidenza sempre più scoperta: trasformare l'umanità in una massa omogenea amorfa di macchine biologiche la cui funzione primaria sia il consenso: consenso politico (in questo caso l'uomo mutante viene definito elettore), consenso economico (e si ha il consumatore), consenso religioso (ottenendo il fedele). Una umanità di semideficienti, privi di ogni facoltà critica, senza l'autentica dimensione esistenziale che può dare solo una cultura liberamente elaborata, una folla di cervelli opacizzati da luoghi comuni, falsità, banalità, una umanità insomma di animali docili è il sogno di ogni dittatore e di ogni élite di potere, perché rappresenta l'ideale di ogni società repressiva: il sottomesso che collabora alla propria sottomissione. Per realizzare questo grandioso piano di mutazione indotta, le lobbies dispongono di strumenti non troppo sofisticati, ma onnipresenti, pervasivi, capillari, continuamente in funzione (e, colmo di ironia, fatti funzionare proprio dai soggetti che ne subiscono gli effetti!): i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, primo dei quali è ancora – e sempre più – la televisione.
Con rapidità inaudita, è stata cambiata significativamente la nostra facoltà di strutturare la rappresentazione della realtà, sono stati scardinati fondamenti morali che funzionavano da decine di migliaia di anni.
Prendo ad esempio la recente serie di suicidi collettivi in Giappone organizzati tramite internet.
Non riesco ad immaginare nulla di più tragicamente privato di un suicidio.
È il momento in cui si fa l'estrema contabilità della propria vita, si rende conto a tutta la propria storia e si decide che non ha più senso continuarla.
Non riesco a trovare nessun motivo che possa spingere al suicidio, che per me è sempre e soltanto un mostruoso errore di valutazione; ma rispetto la scelta terribile di chi decide di non poter decidere più.
È il momento supremo in cui il pensiero si misura con l'eternità e l'invisibile.
Si è di fronte a noi stessi, giudici e carnefici della nostra esistenza. Può esistere un momento della vita più solennemente segreto? Esiste un istante più personale di quello in cui si decide di negare tutta la propria storia? Certo che no. La terribile grandezza dell'atto di negarsi la vita ha sbalordito filosofi in tutti i secoli, e sareste stupiti dalla mole di studi che riguardano il suicidio. Eppure, l'azzeramento sistematico delle coscienze ha violato anche questo estremo, tragico pudore. La rancida marmellata di pseudo-pensiero si è sostituita alle dolenti riflessioni di Seneca, di Epicuro, di Cicerone ed ha fatto del suicidio una moda… Una nuova moda, e non a caso è il Giappone (paese imitativo per eccellenza) in cui questa orrenda moda ha avuto la sua maggiore diffusione.
Quale male ha gettato nell'abisso di disperazione, nel 2003, 34.427 giapponesi che hanno preferito la morte alla vita di una delle più ricche nazioni industrializzate?
Quella che si chiamava “la società del benessere” ha creato persone soddisfatte o condannati alla morte volontaria? Possiamo cercare di spiegarci perché il Giappone ha il più alto tasso di suicidi tra i paesi industrializzati; con 24,1 per 100.000 abitanti?
E cosa ha potuto far trasformare il suicidio in un happening da organizzare on line? Persone sconosciute fino ad un’ora prima si riuniscono per morire assieme: è un ripugnante rituale che mescola il talk show col reality show.
Abituati ad ostentare ogni momento della propria vita, i suicidi “alla moda” consegnano anche la propria follia di autodistruzione alla spettacolarizzazione, perché è innegabile che ciascuno di loro abbia ben previsto di finire così sui giornali, sulla tv, su internet…
Il proposito più inconfessabile diventa un banale argomento di chat; si fissa un appuntamento come se si andasse a prendere tutti assieme l'aperitivo, mentre sono gli ultimi istanti di vite folgorate.
L'ultimo messaggio lasciato a chi resta si confonde nella nebbia elettromagnetica del girone infernale dell'internet selvaggio: anche la filosofia della vita e della morte diventa virtuale e non dura più del tempo di un collegamento alla rete. E i mass media che gridano all'orrore e all'assurdo sono proprio loro gli artefici di questa tragedia; non che ne siano responsabili – è chiaro – ma sono certamente coloro che più di ogni altro hanno creato e alimentano il clima che pure denunciano.
Ma non farò l'ingenuo, e non fingerò di ignorare che i mass media sono oggi docili strumenti di propaganda delle lobbies di potere che dominano il pianeta.
Il cerchio si chiude.
Si chiude perfettamente.
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