sabato 6 ottobre 2007

Comunicazione quantistica

Fonti: ScienceDaily, SpaceDaily
di: Alessio Mannucci
La Università di Yale (USA) e il National Institute of Standards and Technology (NIST) hanno pubblicato su Nature del 27 settembre scorso i rispettivi studi, complementari, sulla possibilità di scambi di informazione tra atomi “entangled”, non vicini tra loro.

Il team di ricercatori di Yale, guidato dal professore fisica applicata Robert Schoelkopf e dal professore di fisica Steven Girvin, che da tempo lavora alla creazione di microchip quantistici, per la prima volta è riuscito a inviare un segnale su richiesta da un qubit - o quantum bit, cioè una particella atomica - ad un singolo fotone - cioè una particella di luce - attraverso un cavo, e trasmetterlo a un secondo qubit, distante dal primo, non in comunicazione diretta all’interno del chip.
In precedenza, l'informazione era stata trasmessa direttamente solo da qubit a qubit.

Non basta trasferire l'informazione da un qubit stazionario a un fotone, “per realizzare la comunicazione quantistica era necessario riuscire a trasferire di nuovo l’informazione dal fotone ad un qubit”, ha spiegato Schoelkopf.
Il gruppo è riuscito a produrre singoli fotoni usando microonde, come quelle che usano i cellulari (che emettono in media miliardi di miliardi di fotoni al secondo), e a pilotarli, utilizzando dei cavi, verso un qubit bersaglio (un po' come avviene per la luce visibile quando attraversa le fibre ottiche).
I ricercatori del NIST, invece, sono riusciti a trasferire l'informazione tra due qubits, o “atomi artificiali”, sfruttando le vibrazioni elettroniche di un cavo di alluminio microscopico.
Anche in questo caso, l'informazione è stata trasferita sotto forma di radiazioni nel range delle microonde da un atomo a una sezione risonante del cavo, e da lì trasportata su un secondo atomo.
I gruppi di ricerca hanno quindi realizzato, indipendentemente l'uno dall'altro, un canale quantistico che permette a due atomi di “dialogare” fra loro. Il risultato è importante perché, in prospettiva, apre la possibilità concreta di far comunicare i molti elementi di un ipotetico computer quantistico. I qubits differiscono dai bit tradizionali perché, teoricamente, in grado di sfruttare lo stato di entanglement, o superposizione, essere cioè simultaneamente uno e zero. Grazie a questo straordinario effetto quantistico l'informazione quantistica offre, in teoria, il vantaggio di una maggiore velocità e potenza di calcolo, e di una precisione infinita durante il calcolo (un algoritmo quantistico è sempre stabile, tranne che per l'input e l'output).

I vantaggi offerti dalle tecniche di computazione basate sugli stati “entangled” sono stati svelati da Peter Shor nel suo celeberrimo algoritmo di fattorizzazione in numeri primi. Ma per quanto gli esordi siano stati promettenti, ci si è tuttavia presto scontrati con la difficoltà pratica di implementazione di sistemi basati sull'estrazione di informazione dal mondo delle particelle elementari.
Nei computer quantistici potrebbero essere utilizzati nanotubi al carbonio (utilizzabili come memorie o come elaboratori d'informazione), atomi artificiali, fotoni, materiali superconduttori e autoassemblanti.
In fondo, fa notare Schoelkopf, anche nella (prei)storia dei computer convenzionali c'è stato un momento, negli anni Cinquanta, in cui per la prima volta sono stati costruiti transistor individuali, e sono passati decenni prima che fisici e ingegneri sviluppassero circuiti integrati con miliardi di transistor (come quelli attuali).
Data articolo: ottobre 2007
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:

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