mercoledì 17 gennaio 2007

Energia e Materia



Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
http://www.infn.it/


Fino agli anni ‘50, i raggi cosmici rimasero la sola sorgente naturale di particelle di alta energia, in grado di produrre nuove specie materiali.
Permisero così la prima osservazione sperimentale di due fondamentali scoperte nel campo della fisica delle particelle: l'antimateria e il processo di decadimento del pione.
Nel 1932 Carl Anderson osservò delle particelle cariche positivamente, che lasciavano nella camera a nebbia la stessa traccia degli elettroni. I suoi risultati furono convalidati nel 1933 da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che riconobbero in esse l’antielettrone o positrone proposto teoricamente da Paul Dirac, osservando la conversione di fotoni di alta energia in coppie elettrone-positrone. Particella predetta nel 1936 da Hideki Yukawa, il pione si osservò sperimentalmente solo nel 1947 da parte di Cecil Frank Pawel, Occhialini e Cesar Lattes, utilizzando speciali emulsioni fotografiche per registrare la produzione di pioni da parte dei raggi cosmici e il loro successivo decadimento in muoni, che a loro volta decadono in elettroni (o positroni) e in neutrini (invisibili).
La componente principale dei raggi cosmici primari sono i protoni e gli atomi di elio.
La percentuale degli altri elementi è pressoché analoga a quella presente nel sistema solare, tranne che per il litio, il berillio e il boro, eccessi probabilmente prodotti dalle interazioni dei protoni con il materiale presente nello spazio interstellare.
Lo studio di queste abbondanze e l'analisi delle vite medie di alcuni di essi hanno suggerito che la gran parte dei raggi cosmici sia concentrata all'interno nella Galassia.
Ulteriore conseguenza delle loro interazioni con la materia interstellare è la produzione di una intensa radiazione gamma, derivante dal decadimento del pione neutro.
Se si osserva, quindi, la Galassia in queste lunghezze d'onda (da 100 MeV in su), la componente dominante è proprio il bagliore concentrato attorno al piano galattico, in cui le interazioni dei raggi cosmici e i processi che coinvolgono gli elettroni presenti nella radiazione cosmica fanno la parte del leone. Essi interagiscono con i campi elettromagnetici e con la materia dello spazio interstellare e con la stessa radiazione prodotta dalle stelle dando origine alla radiazione gamma. La possibilità di osservare tali lunghezze d'onda, invisibili da terra, ha permesso di studiare la percentuale di raggi cosmici e la stessa struttura della Via Lattea. È grazie allo sviluppo delle tecnologie spaziali, a partire dalla fine degli anni sessanta, che questa componente dello spettro elettromagnetico è divenuta accessibile. Dopo la missione statunitense SAS-2 (1972-73), che scoprì l'emissione diffusa proveniente dalla Galassia e originata da alcuni resti di supernova, furono soprattutto i satelliti COS-B, europeo, e EGRET, a bordo del Compton Gamma Ray Observatory statunitense, a dare un impulso decisivo a questa scienza. COS-B (1975-82), infatti, rivelò l'emissione gamma dalle pulsar - stelle di neutroni rotanti - ed individuò la prima sorgente gamma extragalattica. EGRET (1991-2000), invece, permise di delineare molto più in dettaglio l'emissione diffusa e localizzò circa trecento sorgenti puntiformi, tra cui i Gamma-Ray Bursts, misteriosi oggetti posti ai confini dell'universo; osservò inoltre l'emissione gamma prodotta dalle interazioni dei raggi cosmici presenti nelle Nubi di Magellano, galassie satelliti della Via Lattea, confermando così l'ipotesi di una origine degli stessi all'interno delle galassie.
Se sono noti i meccanismi con cui i raggi cosmici interagiscono con la materia interstellare, poco noto ancora è il processo che permette di accelerarli fino alle energie con cui vengono osservati. È questo uno dei principali obiettivi scientifici delle future missioni spaziali dedicate all'astronomia gamma, in cui l'INFN sta svolgendo un ruolo decisivo. AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini LEggero), a partire dal 2003, e GLAST (Gamma Ray Large Area Space Telescope) che volerà nel 2006, utilizzeranno la tecnologia dei rivelatori a semiconduttore. Questa tecnologia permetterà di individuare con molta più precisione la direzione di arrivo dei raggi gamma. In questo modo si potrà distinguere nel dettaglio l'emissione gamma prodotta nei resti di supernova. Si ritiene, infatti, che siano le onde d'urto prodotte da tali esplosioni a fornire l'energia ai raggi cosmici. Analoghi meccanismi sono all'opera nelle sorgenti gamma più intense, come i nuclei galattici attivi o i Gamma-Ray Bursts. Si ipotizza che siano essi ad accelerare i raggi cosmici fino alle altissime energie, e un lodevole contributo alla comprensione di questo fenomeno celeste è stato dato dalla missione spaziale per raggi X, Beppo SAX.
Le future missioni per l'astronomia gamma permetteranno, allora, di esplorare sorgenti fino ai confini dell'universo, nonché di cercare di rispondere a interrogativi decisivi per la comprensione della struttura e dell'unità del cosmo, quali l'identificazione della materia oscura o la natura quantistica dello spazio tempo.

Approfondimenti scientifici:
http://auger.cnrs.fr/
http://ams.cern.ch/
http://glast.gsfc.nasa.gov/
http://cossc.gsfc.nasa.gov/

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