martedì 1 dicembre 2009

AIDS: accesso alle cure è un diritto umano

Il mondo celebra oggi, come ogni anno, la Giornata Mondiale di lotta all'Aids (data simbolica scelta nel 1998 perche' il primo caso di Aids fu diagnosticato il 1 dicembre del 1981).
La Giornata 2009 mette in evidenza in particolare lo stretto legame tra i diritti umani e l'accesso alla prevenzione, al trattamento e alla cura di Hiv e Aids.
In trent'anni, si sono contagiate 60 milioni di persone e 25 milioni sono morte per cause correlate al virus.
Dall'ultimo rapporto dell'Unaids, il programma delle Nazioni Unite contro Hiv/Aids, risulta che nel 2008 erano quasi 33,4 milioni le persone che nel mondo convivevano con il HIV (due terzi nell'Africa Subsahariana, 2,5 mln bambini), con 2,7 milioni di nuove infezioni e 2 milioni di morti collegate alla sindrome.
E' una strage che fa sempre meno notizia, oscurata da pandemie piu' mediatiche (l'ultima in ordine di tempo, l'influenza A) e dalla diffusa consapevolezza che ormai sia una malattia guaribile.
Ma l'Aids continua a mietere vittime.
I dati del rapporto 2008 di Unaids, il programma congiunto delle Nazioni Unite su Hiv e Aids fotografano una pandemia tutt'altro che debellata e che necessita di nuove campagne informative e soprattutto piu' ingenti investimenti.
Negli ultimi anni, sono state spese notevoli quantita' di energia e denaro per ottenere l'accesso alle cure.
Questo impegno fa parte di un piu' ampio obiettivo di fornire l'accesso universale alle cure previsto per il 2010 dai Millennium Development Goals.
Un tema fondamentale: malgrado siano stati raggiunti importanti risultati nella lotta a questa sindrome (dati dell'Unaids rivelano che negli ultimi 8 anni gli sforzi internazionali hanno portato a una riduzione dei nuovi contagi di circa il 17%), nei Paesi a basso e medio reddito sono meno della meta' i malati che ricevono le terapie antiretrovirali di cui necessitano.
Ad oggi, infatti, si calcola che per ogni 5 nuovi casi di infezione solo 2 persone hanno accesso ai trattamenti necessari.
Perche' il rischio, specie nei Paesi piu' avanzati, e' la sottovalutazione del virus: il test si fa sempre meno, e dei 180.000 sieropositivi nel nostro Paese, si stima che il 25% non sappia di esserlo, ritardando cosi' le terapie e soprattutto diventando un veicolo inconsapevole di contagio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

imparato molto