di Alessia Manfredi
16 Ottobre 2000
E' italiana la ricerca che potrebbe portare ad un nuovo test per identificare chi fra le pazienti che soffrono di carcinoma mammario è a maggior rischio di ricadute. I risultati degli studi sono stati presentati dal dottor Pier Francesco Ferrucci ad Amburgo in occasione del 25 congresso della società europea di oncologia in corso fino al 17 Ottobre.
Più della metà delle donne che soffrono di carcinoma mammario ad alto rischio possono avere ricadute nei cinque anni successivi al trattamento di chemioterapia e radioterapia. Ed è difficile attualmente prevedere chi è maggiormente a rischio di recidive.
Oggi, gli studi coordinati da Pier Francesco Ferrucci, Francesco Bertolini e Giovanni Martinelli dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, permettono di fare un passo in avanti. La chiave di volta per capire chi può sviluppare ricadute, potrebbe essere una proteina, la maspina, espressa dalle cellule epiteliali.
"Si tratta di studi preliminari, non ancora pubblicati, che attendono di essere confermati da un follow-up più prolungato delle pazienti", spiega a kwSalute Francesco Bertolini, responsabile del laboratorio di ematoncologia dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, coautore delle ricerche. "Abbiamo trovato che l'espressione di una particolare proteina, la maspina, nelle cellule tumorali del carcinoma della mammella si associa ad una minore ricorrenza di ricadute."
Il 50-70% delle pazienti affette da carcinoma della mammella ad alto rischio presenta micrometastasi nel sangue periferico e nel midollo osseo. "Se in queste pazienti si riscontrano alti livelli di maspina, il rischio di recidive è minore".
Lo studio, durato un anno, è stato condotto su 48 donne affette da forma ad alto rischio di carcinoma della mammella, già sottoposte a terapia con interventi chirurgici e chemioterapia. In generale, che aveva livelli di maspina più elevati, aveva anche minori probabilità di ricadute. "Il risultato ci ha sorpreso", dice ancora Bertolini. "Anzi, ci aspettavamo proprio il contrario. La maspina viene espressa nelle cellule epiteliali maligne e fino ad oggi era ritenuta un probabile marker di progressione tumorale ".
In particolare, otto pazienti che avevano venti o più linfonodi interessati dal tumore, quindi affette da una forma particolarmente grave del tumore, dopo quindici mesi di osservazione non hanno presentato episodi di ricadute. Tutte avevano alti livelli di maspina. "Probabilmente la maspina inibisce l'angiogenesi, cioè la crescita di nuovi vasi e quindi l'alimentazione e la crescita del tumore stesso", spiega ancora Bertolini.
Il risultato è interessante: la presenza di questa proteina potrebbe divenire la base di un test, uno screening di routine utile per i medici per identificare almeno una certa percentuale di donne a rischio di ricaduta, e, di conseguenza, dare loro un trattamento ad assistenza più adeguate.
E, in un secondo tempo, non è escluso che si possa indagare come utilizzare questa proteina per contrastare o addirittura prevenire la malattia: "E' un'ipotesi plausibile ma ancora remota. Occorre prima individuare le funzioni esatte della proteina, poi eventualmente passare a sperimentazioni precliniche. Nel giro di un anno, comunque, dovremmo passare alla pubblicazione delle nostre osservazioni cliniche e si potranno fare valutazioni più precise", conclude Bertolini.
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