sabato 18 ottobre 2008

Quando i bambini sono tristi

di: Johann Rossi Mason
Gli psicologi e i terapeuti della famiglia americani appaiono preoccupati come non mai per il benessere dei bambini più piccoli.
E la ragione sta nel fatto che sia stato individuato come anche i bambini più piccoli siano in grado di sentire e subire lo stress fisico ed emotivo come gli adulti.
Allo stesso tempo, i meccanismi di difesa adeguati si sviluppano solo con l'età e l'esperienza, con il risultato che i bambini risultano più fragili e indifesi.
Anche i genitori non sono sempre in grado di prevenire o fronteggiare le fonti e gli effetti dello stress nei loro figli. “Anche i bambini sotto i tre anni possono soffrire di depressione o di disturbi alimentari e del sonno e addirittura di Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD)” lo sostiene il dottor Jeffrey Brosco, pediatra della Università di Miami. “Sappiamo che dalla nascita ai tre anni avvengono rapidi processi di crescita e la vulnerabilità del cervello ci obbligano ad essere attenti e misurati. La ricerca degli ultimi 5 anni ci ha insegnato come quasi ogni giorno il cervello dei bambini subisca variazioni anche in relazione con l'ambiente.
Per una crescita adeguata i bambini hanno bisogno di affetto, di cure e di una relazione ‘sicura’ con almeno un genitore. Inoltre devono sentirsi tranquilli e liberi di esplorare il loro ambiente.
Se viene meno la stabilità di base (un genitore depresso, emotivamente distante o assente) i bambini più degli altri non hanno strutture cerebrali adeguate per adattarsi e possono, quindi, manifestare dei sintomi”.
Bambini più piccoli da zero a 5-6 anni hanno difficoltà a regolare le proprie emozioni e i propri comportamenti.
Li trasformano allora in comportamenti ‘sintomatici’ oppositivi, aggressivi, di ritiro sociale, bassa tolleranza alla frustrazione e pianto frequente.
Talvolta i sintomi sono in direzione opposta con iperattività, difficoltà di concentrazione e attenzione, anche in assenza di una specifica patologia.
Cosa fare allora?
Lo spiega il dottor Brosco: “In linea di massima in questi casi i farmaci non sono necessari, mentre appare di particolare utilità il counselling o la terapia famigliare dove l'intero nucleo possa imparare in un contesto guidato e protetto a dare differente rilievo sia alle esigenze del bambino che ai suoi sintomi di disagio, adattando la comunicazione e cambiandone la modalità e la qualità”.
Brosco si riferisce probabilmente al fatto che troppo spesso dai bambini ci si attendono comportamenti razionali, adulti, che seguano pedissequamente le regole imposte, senza tenere conto del loro diverso modo di esternare ed esprimere sensazioni ed emozioni.
Inoltre i genitori non sono ancora abituati, ad insegnare, oltre alle regole sociali, quelle emotive, a riconoscere ed accettare anche i sentimenti e le emozioni negative, ad accoglierle, ad accettare di essere tristi e arrabbiati ed essere rispettati per questo.
L'educazione emotiva dei più piccoli invece è un caposaldo per una maturazione affettiva armonica e andrebbe più spesso coltivata.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:

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