martedì 11 novembre 2008

Stress e tumori

r.s. a cura della redazione ECplanet
Stress e depressione peggiorano la prognosi del tumore al seno. Il neurofarmacologo Tullio Giraldi al Congresso della Società italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia (24-26 ottobre a Roma) presenterà i risultati di una ricerca in corso. Ordinario di Farmacologia dell'Università di Trieste, Giraldi da anni studia sia sugli animali sia sugli umani gli effetti dello stress sull'insorgenza e sulla diffusione dei tumori. Sull'animale ha ripetutamente documentato che situazioni stressanti favoriscono l'insorgenza dei tumori, la loro diffusione (metastatizzazione) una volta insediati e la riduzione dell'efficacia delle terapie.
Al Congresso della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, in programma a Roma dal 24 al 26 ottobre, presenterà i dati preliminari di una ricerca in corso su donne operate per tumore al seno. La ricerca riguarda 145 pazienti (età media 55 anni) con tumore della mammella, reclutate presso il servizio ambulatoriale e il day-hospital della Struttura Complessa di Oncologia Clinica dell'Azienda Ospedaliero -Universitaria Arcispedale S. Anna di Ferrara. “Dai dati che stanno emergendo dallo studio -ha dichiarato il prof. Giraldi- appare con adeguata evidenza che eventi di vita stressanti, e tra questi certamente la difficoltà di adattamento mentale al cancro che fa seguito alla diagnosi e all'inizio della cura, possono modificare l'evoluzione della malattia, non solo in termini di aumentata crescita neoplastica, ma anche di maggiore diffusione metastatica, e soprattutto di minore risposta al trattamento chemioterapico, la cui efficacia può essere addirittura abolita dallo stress e dalla depressione”. Questi dati indicano inoltre che fattori genetici costitutivi dei singoli soggetti, quali il cosiddetto “polimorfismo del trasportatore della serotonina” (il neurotrasmettitore del buon umore), possono aumentare la vulnerabilità alla sofferenza mentale causata dalla diagnosi e dalle terapie della mammella. Ciò apre interessanti prospettive per l'impiego, nei soggetti geneticamente predisposti, di farmaci antidepressivi scelti anche in base allo specifico assetto genetico del paziente. “L'integrazione di questi approcci ai trattamenti standard - ha concluso lo scienziato- potrà così consentire una maggiore attenzione ed una più agevole identificazione della sofferenza mentale delle singole persone, il cui trattamento neuropsicofarmacologico potrà essere individualizzato aumentando la possibilità di ottenere evidenti riposte terapeutiche”.

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