mercoledì 4 febbraio 2009

DIFENDIAMO IL DIRITTO ALL'EUBIOSIA

PERCHE' INVECE DI VOMITARCI ADDOSSO SCIOCCHEZZE SUL DIRITTO ALL'EUTANASIA, NON CI DOMANDIAMO IN CHE MODO POSSIAMO DIFENDERE IL DIRITTO ALL'EUBIOSIA.
Cerchiamo di riflettere un attimo fuori dal baccano mediatico pseudo-scientifico, pseudo-legale,pseudo-garantista della vita e della morte, della volontà più o meno espressa o desunta...su ciò che dovrebbe essere dato per scontato in una società che si voglia definire civile:tutelare la nostra buona vita anzichè dissertare sulla liceità della nostra buona morte, alla quale sappiamo di non poterci sottrarre.
Quindi la morte è un dato certo, mentre non lo è una buona qualità della vita a prescindere dalle nostre condizioni fisiche, psichiche, sociali.
La sofferenza umana mi si è imposta in tutta la sua dramamticità già in tenera età: avevo 8 anni quando la cangrena divorava lentamente il corpo di mia nonna diabetica.All'inizio l'alluce e poi le croste nero-bluastre comparvero sui fianchi, nel costato. Assistere impotenti alla decomposizione di un essere umano vivente non è cosa che può lasciare indifferenti. L'odore nauseabondo della carne putrefatta si mischiava con quello pungente dell'alcol puro e ad ogni medicazione giornaliera le urla di dolore (che nemmeno la morfina riusciva a sopire) rimbombavano nella casa. Dovevamo medicare quelle piaghe anche se sapevamo che non sarebbe guarita. Allora ci domandavamo perchè farla soffrire? Ma mia nonna passato il tormento dell'ora della medicazione, ci scongiurava di non invocare per lei la morte, perchè aveva ancora qualcosa da portare a compimento nella vita.Se mia nonna avesse perso coscienza, sicuramente tutta la famiglia avrebbe fatto il possibile per assicurarle un sonno ristoratore e definitivo. Ma nonna rimase cosciente e fedele al suo progetto di vita. Si raccoglieva in preghiera per ore, salmodiando interminabili rosari e pretendendo, quasi come viatico verso l'altro mondo, che io passassi a Comunione.In realtà dopo che fu esaudito questo suo desiderio, trascorsero tre settimane e tranquillamente spirò.
Questa esperienza ha tracciato la mia vita, oltre a rendermi sensibile verso la sofferenza altrui, mi ha anche mostrato come l'eubiosia sia più amorevole dell'eutanasia.
Mia nonna ha potuto vivere al meglio quei due tragici ultimi anni della sua vita, circondata da cure ed affetto. Se fosse stata sola e magari in un ospizio forse anch'essa avrebbe invocato la morte.
Domandiamoci se molti malati preferiscono morire per evitare la sofferenza propria e dei propri familiari, perchè nè la medicina, nè la società ha fatto niente per evitare tale supplizio. E' chiaro che se mi trovassi di fronte alla scelta di morire in un fondo di letto dilaniata da atroci dolori, oppure sola abbandonata nella mia casa, sì firmerei oggi stesso per un'iniezione letale.
Se invece, come si può e si deve, fossi accolta in strutture attrezzate, avessi un supporto psicologico ed assistenziale per me e per i miei familiari, mi si somministrassero farmaci antidolorifici al bisogno, allora vorrei che la vita facesse il suo corso e mi preparerei al meglio per questo ultimo viaggio.
COMINCIAMO QUINDI A DIFENDERE IL DIRITTO DI TUTTE LE PERSONE (SIANO QUESTE MALATE O SANE) AD UNA BUONA VITA ANZICHE' AD UNA BUONA MORTE.
LA SOCIETA' DEVE GARANTIRE SEMPRE LA BUONA VITA.
CIASCUNO ESERCITANDO IL LIBERO ARBITRIO PUO' SCEGLIERE DI TERMINARE IN ANTICIPO IL PERCORSO TERRENO.
MA IL LIBERO ARBITRIO NON SI PUO' ESERCITARE SU DELEGA, NESSUNO QUINDI PUO' E DEVE DECIDERE SULLA VITA O SULLA MORTE DI UN ALTRO, FOSSE ANCHE IL PARENTE PIU' STRETTO.
Pensiamoci bene, tra qualche anno con l'invecchiamento progressivo della popolazione e con i costi per la salute ed assistenza che dragheranno buona parte del bilancio dello Stato, incominciare a parlare di eutanasia e confonderla con un diritto umano, fa emergere almeno un ragionevole dubbio: che si inizi culturalmente a introdurre l'idea del suicidio come scelta, perchè garantire una buona qualità della vita a una moltitudine di vecchi è un lusso che lo Stato non potrà permettersi.

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